Uscito nel 1983, Zelig è diretto da Woody Allen che mette insieme un gioiellino in cui dichiara apertamente tutto il suo amore per gli anni della grande depressione, un documentario fittizio che parla di un personaggio fittizio, ma in un passato reale.
La pellicola è piena di trovate ironiche, fresche e divertenti. Leonard Zelig, interpretato dallo stesso Allen, ha una strana malattia compulsiva: diventa simile a chi gli sta accanto, non soltanto ne prende le sembianze, ma riesce anche ad emularne la lingua, le abitudini e perfino a fingere le stesse competenze dei suoi interlocutori. Allen diventa così un suonatore di batteria di colore in un locale per soli afroamericani, gli si sviluppano tratti somatici orientali vicino ad alcuni lavoratori cinesi e la barba gli cresce a vista d’occhio accanto a due rabbini (solo per citare alcune delle tante trovate geniali).
Nominato l’uomo camaleonte dai giornali, è sfruttato dal cognato senza scrupoli che lo fa diventare un fenomeno da baraccone fino a quando la dottoressa Fletcher (Mia Farrow) prende a cuore il suo caso e, unica donna tra i luminari della psicologia, riesce a portarselo a casa per studiare il caso da vicino. Dopo mesi di interviste giornaliere, Leo-Allen ammette finalmente sotto ipnosi che la sua mimetizzazione avviene perché “è più sicuro essere come gli altri” e “desidera solo piacere alla gente.”
“It’s safe to be like the others” “I wanna be liked”
Con l’aiuto della Farrow, la sua condizione migliora e la redenzione dalla personalità “donabbondiana” lo fa pian piano diventare sicuro e fiero di essere se stesso. Tutto fila liscio fino al momento in cui alcune donne lo accusano di avere avuto rapporti sessuali con loro, rivendicano la paternità dei loro figli e, ovviamente, chiedono soldi allo smemorato. Spuntano, così, certificati di matrimonio e denunce di ogni tipo, perfino di aver dipinto una staccionata di un colore orribile mentre era sotto l’effetto della sua camaleontica personalità.
L’America puritana insorge: tutto, ma non la bigamia! Ed una pacata signora membra dell’Associazione Cristiana afferma senza remore che Zelig dovrebbe addirittura essere linciato. “America’s a moral country, is a God fearing country.” Dice l’arzilla vecchietta, che non può non farmi ricordare di una recente campagna presidenziale.
Leonard vacilla e ammette di non ricordare. Ogni volta che si “camaleontizza” perde la coscienza di sé e non riesce a rammentarsi di niente. L’enorme pressione lo fa fuggire assecondando le sue qualità mimetiche. Viene avvistato in diverse parti del mondo, tra cui in Messico al seguito di un gruppo di cantanti mariachi, ma viene riconosciuto e ritrovato in Germania al momento dell’ascesa del nazionalsocialismo in veste di un militante tedesco, prima dell’atteso lieto fine.
Zeilg è una commedia ben fatta, piena di cameo improbabili (solo per citarne alcuni: Al Capone, Charlie Chaplin, Joe DiMaggio, Charles Linbergh e perfino Hitler e il Papa) presi da filmati di repertorio e montati sorprendentemente ad arte se pensiamo alla tecnologia analogica degli anni 80, e con un Allen in grandissima forma che adotta una mimica alla Ridolini in perfetta sintonia con i filmati d’epoca.
Una film sulla pericolosità di dover piacere a tutti i costi e sull’essere sé stesso che vuole raffigurare il conformista perfetto abituato a compiacere gli altri a tal punto da diventarne identico, una caratteristica portata all’estremo dal regista, ma evidente peculiarità della nostra società occidentale-consumistica. Per la sua originalità, non ha solo dato il nome al noto programma televisivo, ma anche a una patologia psichiatrica sulla personalità trasformista chiamata Sindrome di Zelig.
“Fu amato, poi odiato.” Dice uno degli intervistati nel film. “E poi fece ritorno in aereo capovolto e tutti lo amarono di nuovo. Questi erano gli anni venti, ma è poi cambiata così tanto l’America da quei tempi?”
Era il 1983, ma poteva essere benissimo il 2017.